Perché effettuare il test?
E’ considerato un test di screening per la diagnosi precoce del cancro del colon-retto. Il sangue derivante da un’eventuale perdita a livello intestinale non mantiene il caratteristico colore rosso ma si scurisce confondendosi nelle feci. Quando invece si nota è perché probabilmente la perdita è in prossimità del retto. La presenza di un tumore intestinale causa piccole perdite di sangue.
Che cos’è il carcinoma del colon retto?
Si tratta di un tipo di tumore localizzato nella parte terminale dell’intestino.
Nella maggior parte dei casi è dovuto ad una trasformazione in senso maligno di polipi – piccole escrescenze che protrudono nel lume intestinale. I polipi frequentemente sono asintomatici e sono rilevabili grazie alla colonscopia.
Quali sono in fattori di rischio?
Diversi fattori ambientali e comportamentali sono stati associati a un aumento di rischio per il tumore del colon-retto. Numerose ricerche hanno infatti dimostrato che sono coinvolti diversi fattori tra cui la dieta: le persone che consumano grandi quantità di carni rosse e di insaccati, farine e zuccheri raffinati, poca frutta e verdura sono più esposte all’insorgenza della patologia. Lo stesso dicasi per i fumatori, i forti consumatori di alcolici, le persone in sovrappeso e sedentarie.
Per un terzo dei tumori intestinali conta la familiarità. In particolare, il rischio può essere aumentato se la patologia è stata diagnosticata in un parente stretto (padre, madre, fratello o sorella) di età inferiore a 45 anni, oppure in più parenti stretti all’interno della stessa famiglia. Ulteriori condizioni di rischio possono essere patologie intestinali come: malattia di Crohn, rettocolite ulcerosa, poliposi adenomatosa familiare (FAP) e sindrome di Lynch.
Come si effettua l’esame?
A causa della natura intermittente del sanguinamento, viene richiesta la raccolta di tre campioni di feci in giorni consecutivi.
E’ necessaria una preparazione particolare?
No. Non è richiesta nessuna particolare preparazione.
Cosa significa il risultato ottenuto?
In condizioni normali il test dovrebbe avere esito negativo.
Un risultato positivo al test è indicativo di un sanguinamento anomalo del tratto gastrointestinale. Questa perdita di sangue potrebbe essere dovuta a cancro del colon-retto, ulcere, diverticolosi, polipi benigni, terapia con cardioaspirina (o altri anticoagulanti orali) ed emorroidi.
Possono aversi risultati falsamente negativi nel caso in cui i polipi, seppur presenti, non sanguinino al momento della raccolta del materiale fecale.
Si riconosce un legame fra alte concentrazioni di vitamina D nell’organismo e un minor rischio di tumore del colon, ma non vi sono ancora evidenze chiare del fatto che aumentando le quantità di vitamina D si possa prevenire lo sviluppo della malattia. Infine si studiano con interesse gli effetti di antinfiammatori non steroidei a dosi appropriate per lungo tempo.
Per maggiori informazioni sul test del sangue occulto siamo a Vostra disposizione.
Disclaimer: I contenuti di questo articolo hanno esclusivamente scopo informativo. Le informazioni ivi contenute non intendono in alcun modo formulare diagnosi o sostituire il lavoro del professionista. Consigliamo di contattare il proprio medico di fiducia.
La prostata è una piccola ghiandola facente parte del sistema riproduttivo dell’uomo. Tra le sue funzioni vi è quella di produrre il PSA: una proteina – o meglio un enzima – capace di fluidificare il liquido seminale, una volta eiaculato, consentendo agli spermatozoi una maggiore motilità.
Il PSA è prodotto esclusivamente dalla prostata ed è possibile riscontrarlo nel sangue sia in una forma libera (PSA free) che in una forma legata all’albumina (la principale proteina di trasporto presente nel sangue).
Si parla di PSA totale quando si considera la somma di queste due componenti.
I valori di riferimento
PSA totale: < 4 ng/ml
ratio PSA free/ PSA tot: > 15
Quando effettuare il test?
Le linee guida internazionali raccomandano l’esecuzione del test del PSA a tuti gli uomini di età superiore ai 50 anni, ma dal momento che esistono delle forme precoci di tumore (circa il 20%) che possono svilupparsi prima dei 50 anni è consigliabile già a partire dai 40 anni conoscere il proprio livello di base di PSA, per poter meglio apprezzare eventuali aumenti sospetti (che si discostano dal proprio valore abituale).
Altre condizioni che rappresentano un valido motivo per anticiparne l’esecuzione:
un’eventuale famigliarità allo sviluppo di cancro alla prostata
minzione frequente o dolorosa (escludendo come causa eventuali cistiti o uretriti) e dolore pelvico o lombare.
Oppure, qualora sia già stato diagnosticato un cancro alla prostata
per il monitoraggio della terapia
Perchè effettuare il test?
Il test viene effettuato in quanto rappresenta un importante strumento di valutazione del benessere della prostata.
In condizioni normali questa ghiandola ha le dimensioni di una noce, ma con il passare degli anni o a causa di alcune patologie può ingrossarsi fino a dare disturbi soprattutto di tipo urinario. Ad influenzarne la crescita è l’azione degli ormoni, come il testosterone [link], a cui è molto sensibile.
Un certo aumento del volume prostatico (ipertrofia) è fisiologico con l’avanzare dell’età ma deve essere correlato ad un valore di PSA che non desti preoccupazione (valori intorno a 4 ng/ml di PSA totale). Diversamente possono essere diversi i quadri patologici a carico della ghiandola, tra cui il cancro.
Il cancro della prostata è uno dei tumori più diffusi nella popolazione maschile e rappresenta circa il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo: le stime, relative all’anno 2017, parlano di 34.800 nuovi casi l’anno in Italia, ma il rischio che la malattia abbia un esito infausto è basso, soprattutto se si interviene in tempo (dati AIRC – Link).
Il test del PSA si può definire un test di screening poiché ha lo scopo di individuare una malattia o i suoi precursori (cioè quelle anomalie da cui la malattia si sviluppa) prima che si manifesti attraverso sintomi o segni – individuando la patologia nei suoi stadi più precoci, quando nella maggior parte dei casi si può trattare con efficacia.
In caso di positività accertare la causa di tale risultato portando quindi il paziente a sottoporsi ad eventuali altri test su sangue più specifici (es. PSA free, 2-Pro PSA o PHI, ecc.) o, in ultima istanza, alla biopsia prostatica.
Come si esegue?
Il test viene effettuato su un campione di sangue venoso prelevato dal braccio.
Richiede una preparazione particolare?
Non è strettamente necessario il digiuno.
Si raccomanda, affinché il dato sia attendibile, di attenersi dallo svolgere attività che possano causare un danno o un’eccessiva sollecitazione della ghiandola prostatica, nelle 48 ore precedenti al prelievo.
attività sportive quali il ciclismo, l’equitazione o il motociclismo;
rapporti sessuali;
indagini mediche invasive: es. esplorazione rettale digitale
Quali sono i valori di riferimento?
Una certa quantità di PSA è fisiologicamente presente nel sangue ma può aumentare in corso di diverse condizioni più o meno patologiche. La concentrazione viene valutata in ng/ml, ossia nanogrammi (1 ng = 1 miliardesimo di grammo) su millilitro di sangue. Valori al di sotto di 4,0 ng/ml sono da considerarsi ottimali.
Spesso si consiglia la valutazione anche di quella frazione di PSA non legato a proteine di trasporto e, per questo motivo, definito PSA libero (o PSA free). In questo modo è possibile calcolare il rapporto (ratio) tra PSA libero e totale: un migliore indicatore poiché consente la discriminazione fra tumore prostatico ed ipertrofia benigna. Il valore soglia è 15: i valori maggiori di 15 sono poco rischiosi, per valori inferiori invece il rischio aumenta.
Come vanno interpretati i risultati?
Livelli elevati di PSA possono essere indicativi di cancro alla prostata. Ma, attenzione, possono anche essere imputabili a condizioni non maligne come un’infezione prostatica (trattabile con terapia antibiotica) o un’iperplasia prostatica benigna (un ingrossamento non tumorale della ghiandola).
Il valore di PSA va valutato tenendo conto dello stato di salute complessivo della persona. In caso di valori elevati di PSA è quindi raccomandabile accertarne la causa: il medico curante/specialista potrebbe richiedere, a tal scopo, ulteriori test su sangue (testosterone plasmatico e testosterone libero) o indagini come l’esplorazione rettale digitale e/o la biopsia prostatica.
Per maggiori informazioni sul test del PSA siamo a Vostra disposizione.
Disclaimer: I contenuti di questo articolo hanno esclusivamente scopo informativo. Le informazioni ivi contenute non intendono in alcun modo formulare diagnosi o sostituire il lavoro del professionista. Consigliamo di contattare il proprio medico di fiducia.
Un pericolo silenzioso per il cuore: l’OMOCISTEINA.
L’omocisteina è una sostanza normalmente presente nel nostro sangue, si tratta di un amminoacido che
svolge alcune funzioni importanti del complesso network metabolico dell’organismo.
Recentemente, tuttavia, si è scoperto che livelli di omocisteina più elevati della norma aumentano
significativamente il rischio di sviluppare un evento cardiovascolare anche in persone che non hanno altri
fattori di rischio: si tratta di quei casi, a volte un po’ sorprendenti, di individui sani e normopeso ancora
relativamente giovani che sviluppano un infarto o un ictus apparentemente inspiegabili (non fumatori); la
ricerca medica, inoltre, ha messo in evidenza prove convincenti di un legame tra omocisteina e l’insorgenza
del morbo di Alzheimer.
L’omocisteina alta nel sangue è in grado di produrre danni alle pareti delle arterie e causare pericolose
placche anche se i livelli di colesterolo, la glicemia e la pressione sono nella norma; le cause di
un’omocisteina elevata sono almeno due: genetica e carenza di vitamine B12, B6 e Acido Folico.
Nel primo caso (genetica) gli enzimi che utilizzano l’omocisteina non funzionano bene causando un suo
accumulo nel plasma: questa è una caratteristica permanente della persona, un po’ come il colore degli
occhi o la statura; nel secondo caso la carenza di alcune vitamine fa funzionare male gli enzimi
precedentemente menzionati.
Nell’ottica di una corretta prevenzione del rischio cardiovascolare, assieme al controllo di colesterolo,
trigliceridi e glicemia sarebbe opportuno determinare anche i propri livelli di omocisteina con un
semplicissimo esame del sangue; in particolare dovrebbero controllarsi gli individui che hanno già altri
fattori di rischio oppure le persone che hanno una storia famigliare di eventi cardiovascolari così come le
donne che utilizzano contraccettivi orali.
Se la causa che ha innalzato dell’omocisteina è transitoria, come per una carenza vitaminica, può essere
utile assumere integratori di vitamine B12, B9 (folato) e B6, se invece è genetica occorre intervenire su tutti
gli altri fattori di rischio eventualmente presenti: consultando il proprio medico e riconsiderando
globalmente il proprio stile di vita.
Valori di riferimento della glicemia
La glicemia è la concentrazione di zucchero (glucosio) presente nel sangue.
Nelle persone non diabetiche la glicemia a digiuno è in genere tra i 60 e i 99 mg/dl.
Dopo i pasti tale intervallo può arrivare fino a 130-150 mg/dl, a seconda della quantità di carboidrati (zuccheri) assunta con la dieta.
In condizioni di digiuno, indipendentemente dalla durata del digiuno stesso, la glicemia di una persona non diabetica non scende mai al di sotto dei 55-60 mg/dl così come, per quanto abbondanti siano i pasti, la glicemia non arriva mai a superare i 140 mg/dl. In genere si ha un valore medio di riferimento di 90 mg/100 ml (5mM).
In una persona a rischio (familiarità, età > 50 anni, obesità, ipertrigliceridemia e/o ipercolesterolemia, ridotta tolleranza a glucosio, etc) è utile eseguire un test da carico di glucosio che è un valido strumento per una diagnosi precoce di diabete; in caso prediabete (alterata glicemia a digiuno e/o ridotta tolleranza al glucosio), il medico richiederà un controllo periodico della glicemia, perché esiste un rischio di sviluppo futuro di diabete.
L’alterata glicemia a digiuno (IFG dall’acronimo Impaired Fasting Glycaemia) non va confusa con l’alterata tolleranza al glucosio (IGT), anche se le due condizioni possono essere associate.
L’alterata glicemia a digiuno si accompagna a insulinoresistenza e a un aumento del rischio cardiovascolare; può evolvere in diabete di tipo 2 conclamato, con un rischio del 50% che tale progressione si manifesti nei 10 anni successivi alla diagnosi.
Se la glicemia è indicativa di diabete conclamato, il medico stabilirà insieme un piano d’intervento personalizzato che comprenda una modificazione della dieta, l’inserimento di una regolare attività fisica e un’eventuale terapia con farmaci, sulla base del tipo di diabete.
Per un diabetico, uno degli obiettivi più importanti è mantenere la glicemia il più possibile all’interno dell’intervallo di normalità durante l’intera giornata. Mantenere quanto più costante possibile la glicemia è importante per assicurare il normale apporto energetico al cervello che – a differenza degli altri organi e dei muscoli – non è capace di immagazzinare riserve di glucosio. Il glucosio presente nel sangue rappresenta quindi l’unica fonte utilizzabile che deve sempre essere disponibile.
Valori di riferimento della glicemia plasmatica (mg/dl)¨
Ipoglicemia
Glicemia < 60 mg/dl
Normalità
Glicemia a digiuno: 60-99 mg/dl (3.3-5.5 mmol/L)°
Glicemia < 140 mg/dl dopo 2 ore da test da carico di glucosio (< 7.8 mmol/L)
Alterata glicemia a digiuno (IFG)
Glicemia a digiuno: 100-125 mg/dl (≥ 5.5 – < 70 mmol/L)°
(Solo l’OMS indica ancora un range di 110-125 mg/dl)
Intolleranza al glucosio (IGT)
Glicemia = 140-199 mg/dl dopo 2 ore da prova da carico (≥ 7.8 – < 11.1 mmol/L)
Diabete
Glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl* (≥ 7 mmol/L)°
Glicemia ≥ 200 mg/dl dopo 2 ore dal test da carico (≥ 11.1 mmol/L)
Glicemia ≥ 200 mg/dl in qualsiasi momento della giornata (rilievo occasionale)
¨ mg/dl significa milligrammi di glucosio in 100 millilitri di sangue
° mmol/L significa millimoli di glucosio in 1 litro di sangue
*In almeno due diverse occasioni è sufficiente a fare diagnosi di diabete, secondo le linee guida dell’American Diabetes Association e le Linee Guida Italiane).
Fonti
– Standard italiani per la cura del diabete mellito – Aggiornamento 2016
– ADA Standards of Medical Care in Diabetes, 2016
Il colesterolo è una molecola della classe degli steroli che riveste un ruolo particolarmente importante nella fisiologia degli animali, uomo incluso. Il colesterolo, per la sua struttura a quattro anelli rigidi, è un costituente insostituibile delle membrane cellulari animali ed è il precursore degli ormoni steroidei e degli acidi biliari. In patologia concorre alla formazione dei calcoli biliari e degli ateromi.
Per colesterolemia si intende la concentrazione della sostanza nel sangue; poiché nel sangue il colesterolo è contenuto nelle lipoproteine plasmatiche, si usa, in termini più precisi, far riferimento al colesterolo plasmatico totale, al colesterolo LDL o al colesterolo HDL. La colesterolemia (colesterolo plasmatico totale) può essere normale oppure dar vita a ipocolesterolemia e ipercolesterolemia, condizioni potenzialmente pericolose per la salute.[1]
La parola colesterolo proviene dal greco chole (bile) e stereos (solido) ed è stata utilizzata per la prima volta nel 1894.
La sua presenza, in forma di scaglie, era già stata riscontrata nei calcoli della cistifellea nel 1784 da Poulletier de la Salle, prima, e da Conradi, poco dopo. Nel 1815 Chevreul chiamò questa sostanza colesterina. Reinitzer (1888) ne ha definito la formula empirica (C27H46O) e Windaus (1919) quella di struttura, poi corretta nel 1932. Nel 1975 il premio Nobel John Cornforth ne ha chiarito la stereochimica e stabilito la configurazione degli stereocentri.
Vogel (1843) ha isolato il colesterolo dagli ateromi e negli anni dieci del 900 il patologo russo Nikolaj Aničkov scoprì il ruolo leader del colesterolo nello sviluppo dell’aterosclerosi.[2]
Il colesterolo è un alcool policiclico alifatico, costituito dal nucleo peridro-1,2-ciclopentano-fenantrene (nucleo tetraciclico proprio degli steroidi), con un doppio legame in C5 e una catena laterale isottilica in C17. La desinenza -olo deriva dal fatto che sul C3 del primo anello di atomi di carbonio (anello A) è presente il gruppo ossidrile -OH. La sua formula bruta è C27H45OH. Le sue dimensioni sono 5.2 x 6.2 x 18.9 Å. I quattro anelli che costituiscono la molecola sono indicati con le lettere dell’alfabeto (A, B, C, D), hanno tutti una conformazione a sedia e una configurazione stereochimica trans. Il gruppo ossidrilico in C3, i gruppi metilici angolari in C18 e C19 e la catena laterale sono in configurazione cis (posizione β).
Il colesterolo appare come una sostanza solida, quasi inodore, di colore bianco, di consistenza simile a quella della cera, con struttura cristallina rigida non combustibile. Il colesterolo forma due tipi di cristalli: cristalli aghiformi e cristalli poliedrici (scaglie). Praticamente insolubile in acqua, è modestamente solubile in alcool e molto solubile nei solventi organici (es. cloroformio, benzene), in grassi e oli. La solubilità massima del colesterolo in soluzione acquosa è di soli 1.8 μg/ml o 4.7 μM/100ml.
La molecola del colesterolo è anfipatica, con l’estremità idrofila costituita dal gruppo ossidrilico e con la voluminosa parte idrofobica rappresentata dal nucleo tetraciclico rigido e dalla flessibile catena laterale. Per questa sua natura il colesterolo dà luogo, in acqua, a una soluzione micellare (concentrazione micellare critica, o CMC, di 25-40 nM a 25°) e presenta a 124°C una fase liquido-cristallina di tipo smectico.
Il gruppo ossidrilico forma esteri con gli acidi grassi formando il colesterolo esterificato, mentre il doppio legame tra C5 e C6 permette reazioni di addizione.
Il colesterolo è indispensabile per la vita animale mentre è assente nelle piante, che contengono però sostanze lipidiche strutturalmente simili (fitosterine o fitosteroli). Le principali funzioni svolte dal colesterolo sono:
Il sangue è costituito da una parte liquida chiamata plasma e da una parte cellulare o corpuscolata. Nel plasma è presente una vasta gamma di sostanze quali enzimi, minerali, lipidi, ormoni, zuccheri, vitamine, proteine ecc.
La parte corpuscolata è costituita dai globuli rossi o eritrociti, da globuli bianchi o leucociti e dalle piastrine. L’analisi del sangue o esame del sangue è probabilmente l’esame più diffuso e più richiesto perchè, attraverso il sangue, non solo si riescono ad individuare le sostanze che circolano nel corpo, ma si riesce anche a capire se un organo sta funzionando bene o se invece ha qualche difetto.
L’analisi del sangue è un esame veloce e indolore. Il prelievo viene solitamente effettuato da una vena alla piega del gomito, sull’avambraccio o sul dorso della mano. La quantità di sangue estratto dipende dal numero di analisi che si devono eseguire, ma in ogni caso si tratta sempre di una quantità molto piccola; il prelievo di sangue, in genere, viene eseguito, in uno specifico laboratorio, a stomaco vuoto, di preferenza alla mattina, per evitare che le sostanze contenute nel cibo ingerito alterino il normale equilibrio del sangue.
Come scrivevamo sopra, di solito il prelievo avviene al mattino per avere parità di variabili (standardizzazione) e ridurre la quindi variabilità biologica. Si utilizza sangue venoso prelevato dalle vene dell’avambraccio. Raramente viene utilizzato sangue capillare dei polpastrelli (digitopuntura) per esami specifici.
Nel momento in cui si leggono i risultati dei propri esami del sangue occorre sempre tenere a mente che diversi fattori possono alterare i valori rilevati. Tra questi fattori, ricordiamo solo come esempio:
Infine ricordiamo che per evitare contaminazioni o la rottura dei globuli rossi durante il prelievo e nel trattamento del campione è necessario adottare alcune precauzioni:
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Fonte: https://www.analisidelsangue.net/